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NUMERO 224 - MARZO / APRILE 2015
IL COMMERCIALISTA VENETO
lavorativo.
Silent generation
Comprende i nati tra il 1927 e il 1945, chiamati i
Tradizionalisti. Questi tendono ad andare d’accordo un
po’ con tutti, cercando più il compromesso che il
contrasto. Preferiscono interagire personalmente con le
persone piuttosto che attraverso dispositivi informatici.
Baby Boomer
Comprende i nati tra il 1946 e il 1964. Questi ricoprono
ruoli di potere ed autorità, essendo coloro che hanno
conseguito una carriera consolidata. Sono attenti al
guadagno e dedicano tutto il loro tempo ed impegno
all’attività professionale. Fanno quindi fatica a capire
chi esprime esigenze di flessibilità.
Generazione X
Comprende i nati tra il 1965 e il 1980. Sono abili con le
nuove tecnologie, essendo stata la prima generazione
ad essere cresciuta con il computer. Sono flessibili,
attribuiscono un grande valore alla libertà e al senso di
responsabilità. La generazione X è la prima ad essere
cresciuta senza trovare la mamma a casa dopo la scuola,
ad aver visto i loro padri perdere il lavoro dopo anni di
sacrifici e ad aver sperimentato su se stessi che, per
quante ore uno possa dedicare al lavoro, se si incappa
in crisi economiche finanziarie, c’è il rischio di rimanere
a casa. Da questo nasce l’esigenza di coniugare i tempi
lavoro/vita privata in modo più equo..
Generazione Y
Comprende coloro che hanno poco più di vent’anni. Sono
intelligenti, creativi, ottimisti, orientati ai risultati ed
altamente tecnologici. Sono cresciuti in un ambiente in cui
viene loro chiesto di esprimere su tutto la loro opinione.
Sono
multi-tasker
, anche se peccano di poca capacità di
concentrazione. Figli della cultura della flessibilità,
pretendono un certo equilibrio tra vita professionale e
personale. Non apprezzano la costante pressione, il
controllo strettamente finalizzato al fatturato o un
approccioautoritario.Amanoambientidilavoroamichevoli,
dove pretendono di potersi esprimere. Ricercano incarichi
di sfida che non li faccianomai annoiare.
Alla luce di tutto questo, ogni professionista sa bene
che nel proprio lavoro la parola d’ordine è efficienza,
che si ottiene da un buon rapporto tra: “massima
qualità, soddisfazione del cliente e tempo in cui la
richiesta del cliente stesso viene evasa”. Il fine è
l’ottimizzazione dell’organizzazione interna, così da
rispettare la logica del
total quality
. Purtroppo in Italia
capita spesso che, per ragioni storiche o legate alla
formazione, alcuni professionisti non colgano la vera
importanza per l’azienda di tale concetto, finendo per
prenderne le distanze. Una struttura organizzativa è
fondamentale, invece, perché definisce le modalità in
cui le attività lavorative vengono formalmente
suddivise, raggruppate, descritte e coordinate
utilizzando il proprio sapere/conoscenza al fine di
ottimizzare l’efficienza interna e verso l’ambiente con
il quale essa interagisce.
Una struttura organizzativa ben delineata permette ad
ogni collaboratore di riconoscere le proprie attività e
di comprendere le diversità esistenti rispetto agli altri
colleghi. Questo aiuta a creare sinergie, evitare
diseconomie di scala, ottimizzare i flussi di
comunicazione e di sapere, aumentare il senso di
appartenenza, l’autonomia lavorativa e la
comprensione della
mission
della struttura.
Lo studio professionale è bene che utilizzi modelli
organizzativi che tengano conto della tipologia dei
propri clienti, oltre che delle loro specifiche
problematiche e richieste. Infine va tenuto presente
che il modello organizzativo adottato varia a seconda
degli obiettivi che il singolo studio si pone, dalla sua
dimensione, dal numero dei collaboratori e dalla
tipologia dei servizi offerti.
LE AGGREGAZIONI DEI GIOVANI PROFESSIONISTI / 2
Operazioni di M&A
aspetti organizzativi
SEGUE DA PAGINA 17
1.
Premessa
Nel momento in cui ci accingiamo ad affrontare la
tematica delle operazioni straordinarie (
mergers and
acquisitions
o, sinteticamente,
M&A
) relative al
giovane professionista, emerge inevitabilmente un
problema valutativo. Il tema della valutazione degli
studi professionali non è stato affrontato molto in
dottrina. Ciò nondimeno, occorre riconoscere come
negli ultimi anni si è avuto un forte avvicinamento
della figura del professionista a quella
dell’imprenditore
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e questo ha portato ad un crescente
utilizzo delle metodologie valutative usate per le
aziende anche per gli studi professionali.
2.
L’ingresso del giovane in studio:
come valutare studio e giovane
Scegliendo di candidarsi per l’ingresso nella compagine
associativa dello studio, il giovane professionista deve
iniziare a ragionare sul possibile “prezzo di ingresso”
da pagare agli associati,
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che deve tener conto tanto del
valore dello studio, ma anche del valore del giovane
professionista, spesso trascurato.
2.1 Il valore dello studio
Pur riconoscendo l’importanza assunta dalla clientela
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nella valutazione di uno studio, appare fondamentale,
in primis
, identificare la filosofia e gli obiettivi dello
studio, per comprenderne la strategia nel medio-lungo
termine (
vision
), per poi analizzare i
driver
del valore:
patrimonio immobiliare e mobiliare, procedure,
personale
,
clientela – quest’ultima analizzata
segmentandola in appositi
cluster.
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Si procede poi ad analizzare criticamente il bilancio
dello studio degli ultimi anni – preferibilmente 5 anni -
Aspetti valutativi
sulle operazioni
di M&A relative
ai giovani professionisti
ANDREACECCHETTO
1
Ordine di Vicenza
anche attraverso una riclassificazione patrimoniale ed
economica e l’ausilio di indici di bilancio, dopo aver
normalizzato i dati storici che spesso non catturano la
reale
performance
dello studio.
Oltre a ciò, appare opportuno procedere
all’elaborazione di dati prospettici in ipotesi di
continuità con la clientela in essere (
worst-case
) o di
sviluppo dello studio (
best-case
).
Sulla scelta della formula valutativa, le metodologie
principalmente usate sono le seguenti: finanziaria,
reddituale,
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mista del sovrareddito,
intuitus
personae
e del pollice (considerando il fatturato oppure un
indicatore meno “grezzo” esprimente la marginalità
dello studio – si pensi al margine operativo lordo).
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Si tratta di comprendere la “potenzialità dell’attività a
ripetere nel tempo il reddito e i flussi finanziari
attraverso la continuità operativa”.
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Senza entrare nello specifico delle varie formule, oggetto
già di disamina in due interventi in questa stessa
rivista
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, si vogliono in questa sede fare alcune
precisazioni relativamente ad alcune metodologie.
La
metodologia finanziaria
appare scelta molte volte
perché non comporta tutte le normalizzazioni tipiche
del modello reddituale e, soprattutto, non implica la
necessità di inserire fra i costi i compensi figurativi per
i titolari dello studio, operazione che aumenta il grado
di soggettività della stima.
Quanto alla
metodologia reddituale
, vista la
fiduciarietà tipica dei rapporti instaurati in uno studio
professionale, come pure la situazione di crisi in cui
versa anche il mondo professionale, appare scontato
[1] Il presente intervento, così come quello della dott.ssa Sabrina Nicoletti che lo precede, è tratto dalle relazioni
tenute dagli Autori nell’ambito del convegno organizzato dall’UGDCEC di Vicenza lo scorso 10 marzo 2015, avente
ad oggetto le operazioni di aggregazioni dei giovani professionisti, a conclusione di una ricerca effettuata attraverso
interviste e questionari a professionisti e ad altri soggetti con specifiche esperienze nelle materie. In particolare,
sono state raccolte le opinioni di n. 23 soggetti, residenti nelle province di Vicenza, Venezia, Verona, Trento, Udine,
Pordenone, Milano, Como, Torino, Crema, Firenze, Roma e Cagliari; a questi si aggiungono 2 colleghi francesi. I
risultati proposti non hanno dunque la pretesa di avere valenza scientifica e statistica, ma rappresentano semplicemente
una ponderata opinione degli Autori.
[2] In tal senso Gallucci C.,
La valutazione economica di uno studio professionale: riflessioni metodologiche
,
Società e Contratti, Bilancio e Revisione, Eutekne, 2014, vol. 9, pag. 3 e s.s.
[3] Dall’analisi di alcuni questionari ricevuti, tuttavia, sono emersi casi in cui non viene fatto pagare un prezzo di
ingresso ai giovani, rimandando il problema valutativo in sede di ripartizione degli utili annuali dello studio.
[4] Si veda al riguardo l’Exposure Draft dei Principi italiani di Valutazione pubblicati dall’Oiv il 1 dicembre 2014 ed
in particolare il Commento al principio III.4.4: “Alcuni beni immateriali garantiscono privilegi senza alcun diritto
di proprietà, ad esempio le relazioni di clientela”.
[5] I
cluster
andranno differenziati per anzianità del rapporto, livello di fatturato generato, tipologia del servizio
prestato, età dei titolari e contenziosi/litigiosità riscontrate.
[6] Nel processo di normalizzazione appare fondamentale eliminare costi e ricavi non inerenti, come pure provvedere
a inserire costi e ricavi figurativi, per poi rettificare anche il carico fiscale relativo.
[7] In tal senso anche Simone M.,
Valutare un’attività professionale: gli elementi da prendere in considerazione
,
Amministrazione e Finanza, 20/2006, pag. 27. L’autore ha sviluppato un interessante modello di
budgeting
e
reporting
per gli studi professionali che potrebbe essere utilizzato per un’analisi delle performance storiche. In tema,
invece, di pianificazione del business di studi professionali, si rimanda a Graffi Brunoro G., D’Agnolo M.,
Il business
plan e gli studi professionali
, Quaderno n. 19 di Aggiornamento on line Eurtekne, ottobre 2000, pag. 155 e s.s.
[8] Si vedano le
slide
dell’intervento del rag. Roberto Pedretti in data 20 marzo 2014 nel convegno tenutosi a Milano
“La valutazione degli studi professionali” per S.A.F. (Scuola di Alta Formazione Luigi Martino – Odcec di Milano).
SEGUE A PAGINA 19