28
NUMERO 224 - MARZO / APRILE 2015
IL COMMERCIALISTA VENETO
SARAH PANI
Avvocato inTrieste
La depenalizzazione del delitto
di cui all'art. 2, comma 1 bis
del D.L. 12.09.1983, n. 463
NORME E TRIBUTI
SEGUE A PAGINA 29
1. IL DELITTODI OMESSOVERSAMENTODELLE RITENUTE
PREVIDENZIALIEASSISTENZIALI: I PRINCIPALIELEMENTI
CARATTERIZZANTI
A distanza di due anni dall’ampia depenalizzazione delle omissioni contributive,
avvenuta con la Legge n. 689/1981, il legislatore del 1983 ha ritenuto opportuno
reintrodurre il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti,
fattispecie di reato oggi prevista dall’art. 2, comma 1 bis del D.L. 12 settembre
1983, n. 463, rubricato “
Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per
il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica
amministrazione e proroga di taluni termini
1
”,
convertito con modificazioni dalla
L. 11 novembre 1983, n. 638
2
, ed oggetto di ulteriori e successive modifiche ad
opera del D.L. 9.10.1989, n. 338 e del D. Lgs. 24.3.1994, n. 211.
La pena prevista in caso di trasgressione è quella della reclusione fino a tre anni e
della multa fino ad € 1.032,00, ma il datore di lavoro non è punibile se provvede al
versamento delle somme dovute “
entro il termine di tre mesi dalla contestazione o
dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione
”.
A tale proposito si reputa opportuno sottolineare che la causa di non punibilità,
quale quella appena menzionata, deve essere tenuta ben distinta dalla c.d.
scriminante,
rectius
causa di giustificazione, ove la prima (a differenza della seconda,
funzionale a bilanciare interessi contrapposti) integra situazioni nelle quali il
legislatore stabilisce la non punibilità di un soggetto per mere ragioni di opportunità
3
.
Il comma 1 ter prevede che la denuncia di reato sia presentata o trasmessa senza
ritardo da parte dell’INPS all’Autorità Giudiziaria, una volta decorso inutilmente il
termine utile alla regolarizzazione, pari a tre mesi, come previsto dal comma 1 bis,
nel corso dei quali il termine della prescrizione rimane sospeso, ai sensi del
successivo comma 1 quater
4
.
Si tratta della fattispecie delittuosa quantitativamente più ricorrente nel settore
previdenziale, unica sopravvissuta, assieme all’ipotesi prevista e punita dall’art.
37 della Legge 689/1981, e consistente nella c.d. “frode
”
previdenziale mediante
falsificazione di registrazioni o denunce obbligatorie, alla progressiva
depenalizzazione di tutte le condotte di inadempimento contributivo poste in
essere dal datore di lavoro
5
.
Recentemente, la L. 4.11.2010, n. 183 ha provveduto ad estendere tale ipotesi di
reato, di cui all’art. 2, commi 1 bis, 1 ter ed 1 quater del D.L. 683/1983
6
anche alle
ritenute previdenziali ed assistenziali operate sui compensi dei lavoratori a progetto
e dei titolari di contratti di collaborazione continuata e continuativa, iscritti alla
gestione separata ex art. 2, comma 26 della L. 08.08.1995 n. 335
7
.
Una volta definita e brevemente contestualizzata la fattispecie in esame, si reputa
qui opportuno analizzare alcuni dei tratti peculiari del delitto di omesso versamento
8
,
avendo riguardo ai suoi elementi caratterizzanti ed utili per tratteggiare questa
fattispecie penalmente rilevante, soffermandosi, nelle pagine che seguono, più
partitamente su alcune delle più importanti Pronunce di legittimità.
L’elemento oggettivo del reato, quanto al comportamento tenuto dall’agente (ed in
questo caso si è di fronte ad un reato proprio, ossia commesso da un soggetto
qualificato rispetto alla generalità) ed integrante la fattispecie in esame, consiste nel
mancato versamento, da parte del datore di lavoro, delle quote contributive già
trattenute e dunque dedotte dalle retribuzioni del lavoratore che poi non sono
materialmente “riconosciute” all’Ente previdenziale alla scadenza del periodo di
denuncia delle contribuzioni stesse.
Quanto, ancora, all’esame della condotta integrante il delitto, ormai definitivamente
qualificata come avente natura omissiva ed istantanea, si rileva come abbia dato
luogo, oltre un decennio addietro, ad un contrasto in seno alla giurisprudenza di
legittimità, avente ad oggetto la possibilità di configurare, o meno, in capo al datore
di lavoro il delitto anche qualora costui non avesse corrisposto le relative retribuzioni
ai propri dipendenti.
Le Sezioni Unite, con propria Sentenza n. 27641 del 26.06.2003
9
, nel dirimere il
menzionato contrasto, hanno chiarito che il Legislatore, con l’articolo 2 del Decreto
Legge 486/1983, ha inteso reprimere non il fatto omissivo del mancato versamento,
ma il più grave fatto commissivo dell’appropriazione indebita, da parte del datore
di lavoro, della quota di retribuzione effettivamente corrisposta al dipendente,
poiché, logicamente, non vi può essere appropriazione laddove non vi sia una
trattenuta.
Il summenzionato principio si è, nel corso degli anni e delle Pronunce successive,
radicato ed evoluto, dando luogo ad orientamenti i quali, ferma la non configurabilità
del delitto in assenza del materiale esborso delle relative somme dovute al dipendente
a titolo di retribuzione, hanno condotto ad affermare che la prova dell’effettiva
corresponsione delle retribuzioni, nel corso del processo per il delitto di omesso
versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, possa essere tratta dai modelli
attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso
l’Istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM10), sempre che non risultino elementi
contrari
10
, mentre si è parallelamente precisato che l’onere della prova in ordine alla
mancata corresponsione spetti all’imputato datore di lavoro
11
.
Con riferimento allo stato di dissesto dell’imprenditore, impossibilitato al
versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la giurisprudenza, chiamata
sempre più frequentemente a pronunciarsi sulla predetta tematica, ha
sistematicamente sancito l’irrilevanza dello stato di crisi, il quale, di per sé, non
elimina il carattere di illiceità penale della condotta posta in essere datore di lavoro,
e ciò in forza della natura di tributo, e non di salario, rivestita dal contributo
previdenziale, pertanto dovuto indipendentemente dalle vicende finanziarie
dell’azienda
12
. Ancora, la Corte ha sempre precisato, peraltro senza mostrare mai
incertezze sul punto, che la predetta responsabilità non verrebbe meno nell’ipotesi
di insolvenza proprio in ragione dell’onere, posto in capo al datore di lavoro, di
[1] (GU n. 250 del 12.9.1983)
[2] Di cui si riporta, per completezza, il testo vigente alla data attuale, dal comma 1 bis al comma 1 quater: “1 bis: L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1 è
punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni (€ 1.032,91). Il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre
mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione. 1 ter: La denuncia di reato è presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di
cui al comma 1 bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto. Alla denuncia è allegata l'attestazione delle somme eventualmente versate. 1 quater: Durante il termine
di cui al comma 1 bis il corso della prescrizione rimane sospeso”.
[3] Così GROSSO F.,
Manuale di diritto penale
,
parte generale
, 2013, Giuffrè, 281.
[4] CUI S.,
Il diritto penale del lavoro. Sicurezza del lavoro, malattie professionali, previdenza ed assistenza, soggetti deboli, discriminazione
, 2007, HALLEY Editrice, 163 ss.
[5] IMBRIACI S., Omesso versamento delle ritenute previdenziali: l’insolvenza non attenua la responsabilità, in Guida al lavoro, 2014, 10, 79.
[6] Nel silenzio della legge, parrebbe dunque non operare in questo caso la fattispecie di cui all’art. 2, comma 1 del D.L. 486/1983, il quale consente di non versare le ritenute,
portando le stesse a conguaglio con le somme anticipate ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, se dalla denuncia contributiva dovesse risultare un
saldo attivo a favore del committente.
[7] La Circolare INPS, n. 71/2011, ha chiarito il campo di applicazione dell’art. 39 cit., il quale opera soltanto nei confronti dei committenti che si avvalgano delle prestazioni
lavorative effettuate dai soggetti appartenenti a tutte le categorie enumerate dall’art. 50 T.U.I.R., con riferimento ai rapporti di collaborazione continuata e continuativa anche
a progetto. Ancora, attenendosi alla menzionata Circolare INPS, la fattispecie di cui all’art. 39 non ricorrerebbe in caso di insussistenza di un rapporto di committenza o
coincidenza tra committente e collaboratore; nel caso di rapporto lavorativo parasubordinato, la responsabilità penale graverebbe invece sul responsabile legale dell’adempimento
alla scadenza del termine per il versamento.
[8]
[9] In Diritto e Giustizia, 33, 2003, 14, annotata da CARDARELLO C., L’omesso versamento Inps punibile solo se è appropriazione indebita, altrimenti dà luogo a mera
sanzione amministrativa.
[10] Si veda, da ultimo, Cass. Pen., sez. III, 03.07.2014 n. 41698, in Banca Dati iusexplorer, Giuffrè, la quale espressamente richiama,
ex multis
, le precedenti sez. III, Sentenza
07.10.2009 n. 4645; sez. III, 04.03.2010, n. 14839, secondo cui l'effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, a fronte di un'imputazione di omesso
versamento delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali, può essere provata sia mediante il ricorso a prove documentali, come i cosiddetti modelli DM/10 trasmessi dal
datore di lavoro all'INPS, sia mediante il ricorso a prove testimoniali, sia mediante il ricorso alla prova indiziaria.
[11] Così Cass. Pen., sez. III, 23.03.2007, n. 12278, in Banca Dati iusexplorer, Giuffrè, la quale espressamente richiama la precedente Cass. Pen., Sez. III, n. 46734 del 14.10.2004.
[12] Si veda Cass. Pen., Sez. III, 17.07.2014, n. 3164, Ritenute previdenziali ed assistenziali: tributo da pagare sempre e comunque, in Diritto e Giustizia, 18.07.2014, laddove
l’irrilevanza dell’impossibilità ad adempiere è stata ricollegata alla mancata comunicazione dell’imprenditore al curatore fallimentare, il quale avrebbe dovuto sollecitare
quest’ultimo al versamento delle ritenute.